Oggi, ultimo giorno dell’anno, è tempo di bilanci, di riflessioni sulle emozioni vissute, di valutazioni sulle aspettative e su ciò che abbiamo realmente concretizzato, nell’anno che sta per finire.
Queste personali riflessioni sulla professione infermieristica, riguardano tutto ciò che esiste, oltre l’attuale condizione contrattuale degli infermieri, che come ben sappiamo risulta lontana dal pieno e giusto riconoscimento. Vuole essere un sguardo concreto all’interno della professione, e sul vero benessere che si debba ricercare.
Spesso, l’infermiere vive contesti lavorativi difficili, generati da politiche sanitarie che gestite con metodo Bocconiano, hanno ridotto ampi spazi di benessere lavorativo, trasformando il tempo di cura, in tempo di produttività. L’impossibilità, dunque, di svolgere in tempi adeguati la professione, si ripercuote in maniera diretta, spesso anche violenta, nella vita delle persone con malessere fisico e psicologico.
La salute è sempre stato un bene a-dimensionale, costituito da mille risvolti, non certo un prodotto aziendale finito e se da un lato, il ministero ci dice di essere umani, di umanizzare le cure, dall’altro le aziende ci tolgono il tempo di essere umani. Sempre meno, sempre di corsa…siamo diventati i Bersaglieri delle corsie, non suoniamo marce, ma veniamo suonati da fanfare di campanelli.
La nostra faccia, è la più riconoscibile nei luoghi di cura, per questo si deve pretendere il rispetto dei tempi di cura, al fine che i pazienti ne traggano reale beneficio. Si, perchè, come il contadino trae benessere dalla terra, il nostro proviene dall’essere vicino alle persone che richiedono aiuto, dall’essere vera prossimità di cura, non certo solo quello di appartenere ad una categoria, o peggio uniformarsi biecamente al disposto…“qui si è sempre fatto così”.
Tutti noi, dobbiamo sforzarci di essere unici sebbene inseriti all’interno di specifici contesti, quindi alle condizioni date, è il modo di svolgere la professione che fa la differenza. Ovvero, riscoprire le intime motivazioni, che ciascuno ha dentro di sé per svolgere con soddisfazione e pienezza il mandato, evitando che la frustrazione faccia capolino, rendendoci stanchi ancora prima di iniziare un turno.
Essere Infermiere, significa prima di tutto essere presente, camminare all’interno dei sentieri della malattia, accanto ai pazienti e alle loro famiglie, a fianco dei colleghi e degli altri operatori. Esserci per loro e con loro, contribuendo al benessere lavorativo, che nessun contratto potrebbe mai contemplare.
Questo è principalmente il significato che io do al mio lavoro: esserci dentro con la mente e con il cuore… perché chi fa questo lavoro, lo fa perché ha nell’anima un’idea di centralità del paziente, e la giusta motivazione volta a dare sostanza e forma alla cura, al reinserimento sociale della persona bisognosa, e allo stesso tempo permette di vivere e condividere un percorso di crescita personale e umana.
Per fare questo, occorre miscelare in maniera armonica sicurezze consolidate da anni di esperienza, insieme alla semplice disponibilità, a mettersi in gioco, a sperimentare, a osservare e verificare nuovi aspetti ed effetti che si intrecciano in ogni momento all’interno dei reparti.
Esserci dunque, significa sostegno e crescita insieme, rinnovando le proprie emozioni ed il proprio entusiasmo giorno dopo giorno. Se si perde questo aspetto finisce il senso della nostra magnifica professione, trovare nuovi stimoli strada facendo. Sebbene l’Ospedale rappresenta un’ ambiente solidamente pensato e strutturato, allo stesso modo è un ambiente che lascia spazio alla flessibilità, alla malleabilità, un contesto di confronti, condivisioni, diversi spunti di riflessione in relazione tra loro.
Ogni giorno rappresenta un’esperienza avventurosa, che ci attraversa in maniera trasversale. Ogni giorno è una sfida educativa, nel quale trovare strategie giuste per rassicurare i pazienti, offrire proposte adeguate ai loro bisogni, alle richieste esplicite e implicite osservate, accolte e ascoltate. Offrire sguardi e parole alle famiglie, confortarle nel momento del distacco e dimostrare sempre di esserci con la massima disponibilità.
Sviluppare un progetto d’esperienze armonico e professionale che ci accompagnerà durante il nostro lavoro, soffermarsi su eventuali criticità, accogliere l’imprevisto, osservare, porsi domande, mettersi in discussione anche e soprattutto nel confronto con tutti coloro che incontreranno la tua persona, il tuo essere infemiere.
Tanto lavoro, tanta lotta, tanti sguardi…tanta stanchezza; tutto questo ci proietta ancora una volta con lo sguardo rivolto al futuro, ai pazienti che ci saluteranno per ritornare alla propria vita e ai propri affetti, a quelli che ritroveremo nuovamente, e ai nuovi che saremo pronti ad accogliere…Auguri
AMO LA MIA PROFESSIONE
Emilio Benincasa
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