Alfonso Megna, infermiere, torna , con le sue parole , a toccare le corde più profonde della nostra anima; e con una disarmante semplicità esprime in maniera sublime , il sentimento di orgoglio e di appartenenza alla nostra professione, quel sentimento che accomuna chi ci crede profondamente a questo “mestiere”, a chi sa farne un’arte e scopo della propria esistenza.
Senza aggiungere altro, vi invitiamo a leggere quanto Alfonso ci racconta, vero e sincero, attento osservatore, è riuscito a cogliere il “grigio” ed il “colore “ , sfumature di questa meravigliosa professione: l’infermiere
Sono molti anni che mi occupo di formazione. Un impegno importante nel quale credo profondamente.
Un’attività che comprende un ampio ventaglio di condizioni. Devi formarti; non puoi cercare di trasmettere nozioni se non le hai ben recepite. Devi aggiornarti; è essenziale cercare di essere al passo con i tempi della scienza. Le evidenze scientifiche si evolvono. Il lavoro di ricerca ci permette di operare sempre meglio, fare scelte oculate significa comportarsi da professionista. Devi confrontarti; aprire la mente e arricchirla di mille nuovi punti di vista sono un’arma vincente. Il pilastro dell’evoluzione è l’adattamento al cambiamento, devi cambiare se vuoi migliorare, devi cambiare se vuoi essere più efficace. Devi cambiare se vuoi essere un professionista degno di questo status.
Di tutti i cambiamenti, l’unica certezza che non si modificherà mai, è lo scopo della nostra professione…LA PERSONA.
Volontariamente non ho detto paziente, utente, cittadino. Il professionista infermiere non depersonifica chi ha bisogno. Solo comprendendo anche l’emotività di chi assistiamo, possiamo dare il meglio.
Sulle basi di questi semplici ma profondi principi, si può ergere un percorso di crescita professionale. Si può innescare, quella naturale reazione a catena, che spinge l’infermiere a salutare con affetto il mansionario, abbracciando con cuore pulsante la responsabilità di una grande professione.
Anni di sacrifici che mi hanno regalato tanto. Sono stato ripagato abbondantemente. Vi chiedo di non cadere nell’errore di pensare a chi sa quali guadagni, il denaro non ripaga mai. La soddisfazione di riuscire a sentirsi un tassello del grande puzzle della crescita professionale non ha prezzo…per tutto il resto c’è il denaro.
Enorme soddisfazione la trovo nell’incontrare professionisti dai quali posso attingere. Leggere la passione negli occhi di un infermiere, e percepire che riesce a trasmetterti il suo sapere, ti fa capire quanto sia viva la fiamma della crescita. Non ci sono parole che possano spegnere questa energia. Ci sono migliaia d’infermieri appiattiti dalla routine, frustati dalle difficoltà lavorative, schiacciati dal chiodo fisso di rincorrere la pensione; persone che vedono tutto grigio. Un grigiore che come una macchia d’olio si espande intorno a loro. Un grigio che incominci a vedere nello spazio, nell’aria. Un grigio che respiri. Questo è quello che la cattiva politica, la pessima gestione aziendale, la crisi vogliono fomentare e mantenere. Il grigiore, come colore ufficiale di un mestiere che da anni è uscito da una metamorfosi che l’ha trasformato in una splendida professione, anzi “la più bella delle arti belle”. Si, la Nightingale la definiva così più di cento anni fa.
Un’arte bellissima anche se piena di bigi. Ogni mille infermieri grigi, io vedo un artista pieno di colore. Sono quegli infermieri che ci credono in questa professione artistica. Sono quei colleghi che sanno colorare gli spazi, l’aria, la professionalità. Ammazzano con prepotenza quel grigiore che spesso incontriamo. E lo fanno non come l’olio, lento e inesorabile, ma con immediatezza e forza. Il colore della passione lo riconosci perché esplode. Un boom di energia e di capacità professionali dettate dalla semplice convinzione di essere un professionista, capace di ogni decisione legata alla sfera della propria competenza. Niente di più e niente di meno. Sono quei professionisti che sanno dipingere un sorriso sul volto delle persone che incontrano, e non perché siano in qualche modo buffi, ma semplicemente perché chi è assistito, si sente al sicuro; si fida perché comprende che sai quello che devi fare.
Non posso però nascondervi che ha volte il mio ottimismo, se pur per qualche secondo barcolla. Spesso spendo il mio tempo come formatore. Sono impegnato in diverse relazioni davanti a platee più o meno numerose. Frequentemente mi trovo a sedere nelle platee. Sono li attento ad ascoltare chi mi può insegnare qualcosa d’importante per la mia professione. È bello, gratificante e ammirevole sentirsi dire o sentire dire a qualche collega, che il momento formativo è stato utile, bello, comprensibile e che ha scaturito un cambiamento…una crescita.
Momenti idilliaci, che qualcuno riesce a trasformare in un disastro. Provate a immaginare un bellissimo vaso di finissimo cristallo, lavorato con mille intarsi, brillante alla vista e delicato nel suono che emette se toccato con garbo. Proprio in quell’istante mentre avete gli occhi socchiusi per ascoltare quella vibrazione che ti scuote dentro, arriva come un forte pugno, che si abbatte sul vaso, la tragica frase: ma tu sei un collega?
Il vaso va in frantumi, cosi piccoli che sembrano ormai sabbia. Sbriciolati dal peso di pregiudizi, resi ciclopici e devastanti perché provengono da un professionista della tua stessa categoria.
Dopo l’attimo di sconforto mi rendo conto che il colore avrà sempre la meglio. Chiedermi, o chiedere se sei infermiere, è dettato solo dal pregiudizio che non puoi essere preparato, non puoi formare, non puoi essere capace, perché sei solo un infermiere.
È quello per cui lottiamo da anni. Fare cambiare la nostra immagine.
Comprendete bene che diventa difficile se noi in primis non ci spogliamo di questi obsoleti vestiti da manovalanza. Io mi aspetto da un medico che mi chiami collega, solo perché per lo stesso pregiudizio crede di poter parlare in certi termini esclusivamente con un altro medico. In quei casi sono fiero di rilevare di essere infermiere. Perdonatemi se non riesco a fare lo stesso quando un collega mi lancia prepotentemente in faccia la sua convinzione. Quando il collega mi lascia intendere che un infermiere può vivere, professionalmente, solo nei limiti dei pregiudizi.
Il mio vuole essere uno spunto di riflessione. Non dobbiamo arrenderci, sconfortarci. Siamo un arcobaleno che riuscirà a colorare il cielo più grigio dopo ogni sorta di temporale. La nostra arte si dimostrerà più forte di ogni grigio tabù.
Troviamo lo spirito giusto per convincere questa professione che non è un mestiere, non più.
Alfonso Megna
Un artista della più bella delle arti belle.
Salvo Vaccaro
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