Viterbo. Un’anziana signora morì per una piaga da decubito non adeguatamente trattata, il figlio decide di rivolgersi alla Corte dei Conti per avere giustizia.
I Fatti
Bassano Romano. Vittorina Nicodemi, una signora di 84 anni, invalida al cento per cento, nel novembre del 2011, fu affidata al servizio di assistenza domiciliare(ADI), per il trattamento di una piaga da decubito incipiente, sita al tallone destro. L’ ADI in questione faceva capo alla Asl di Viterbo, e l’equipe di sanitari a cui la donna era stata affidata, era guidata dal medico di base.
Il figlio, il signor Bernardi, che abitava a Roma, e non poteva seguire la madre, si era affidato all’ ADI di Vetralla ed al suo medico di base a Bassano.
I problemi però non tardarono ad arrivare; l’infermiera che avrebbe dovuto medicare la piaga da decubito, si presentava saltuariamente, e quando, a dire del figlio, esso stesso si rivolgeva al medico di base per avere notizie, la risposta era sempre la stessa “Va tutto bene!”.
In Aprile però, il figlio allertato dalla madre, si precipitò a casa della stessa, la stanza da letto in cui la donna dimorava era invasa da un odore nauseabondo, dovuto alla suppurazione della piaga da decubito. Allarmato da quanto appurato, il signor Bernardi, chiamò più volte il medico di base e l’infermiera, che imputavano i problemi dell’anziana madre all’età ed allo stato di infermità, entrambe gli consigliarono di rivolgersi ad una Rsa.
Data la situazione assurda, il figlio, decise di presentare un esposto ai Nas di Viterbo.
A questo fecero seguito le visite più frequenti dell’infermiera, mentre di contro, il medico di base smise di visitare la signora, a totale insaputa del figlio, almeno per quanto questo si appresterà a dichiarare.
Siamo ad agosto 2012, il figlio viene nuovamente allertato dall’infermiera, la paziente ha febbre alta, 39° c, avvisato il medico, questo si limitò a dire che aveva ricusato l’anziana madre, da giugno non era più sua paziente.
Per ricusare una paziente, ci vogliono gravi motivazioni di incompatibilità, ma di questo rifiuto non era arrivata nemmeno la notifica. La signora Vittorina era stata praticamente abbandonata.
La febbre non scendeva, e per gli infermieri dell’ ADI che continuavano a curare la signora, nonostante il rifiuto del medico, era solo un’influenza.
Il 5 agosto, la signora Vittorina, arriva in stato comatoso all’ospedale di Bracciano, dove morirà due giorni dopo: decubito infetto al 4° stadio al tallone destro, questo quanto scritto dai medici del nosocomio.
Da questo momento, comincia nelle aule di tribunale, un lungo iter giudiziario, accanto ai procedimenti civili, sono in corso anche i procedimenti penali.
Le rivendicazioni del figlio si basano sul fatto che la cartella clinica domiciliare non fu redatta, per cui non vi è traccia delle cure eseguite, e non fu acquisito dai medici curanti il consenso informato della paziente.
I sanitari dell’ ADI, sostengono che il consenso informato non fu acquisito, perché la paziente non era in grado di intendere, ma se così fosse stato, avrebbero, secondo la normativa vigente, rivolgersi al magistrato; niente di questo fu fatto ed i sanitari continuarono con i loro trattamenti, conducendo la donna alla morte.
Se invece avessero chiesto il consenso informato, avrebbero dovuto informare la signora delle loro carenze strutturali, del fatto che l’ ADI in questione non aveva un parco veicoli adeguato, da poterle garantire un’assistenza puntuale a giorni alterni, e la paziente avrebbe potuto rivolgersi altrove.
La causa portata avanti dal signor Bernardi verte su due versanti, da un lato quella contro la Regione Lazio, e nella fattispecie l’ufficio requisiti autorizzativi e di accreditamento per presunta omissione e rifiuto di atti d’ufficio.
Infatti, alla richiesta reiterata, della documentazione di accreditamento dell’ ADI, tale non è stata fornita, da qui la denuncia alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma.
L’altro versante di denuncia del figlio della malcapitata è quello penale.
Infatti, già la giurisprudenza si è espressa in merito, e nello specifico, la sentenza del 14 dicembre 1996 della Corte di Assise di Firenze ha emesso verdetto di condanna a carico di due medici per negligenza ed imperizia, nell’omessa cura delle piaghe da decubito.
Oggi arriva anche l’esposto alla Corte dei Conti, poiché le strutture sanitarie che esercitano l’ ADI, ricevono finanziamenti pubblici dal fondo della non autosufficienza dalle Regioni, e la Regione Lazio, avrebbe dovuto concedere l’autorizzazione all’ ADI in questione, solo dopo averne verificato i requisiti strutturali minimi, e questo non sembra possibile verificarlo perché l’ufficio citato si rifiuta di fornire la documentazione.
Marialuisa Asta
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